ESECUZIONE FORZATA - Cass. civ. Sez. VI - 3 Ord., 06-10-2021, n. 27073

ESECUZIONE FORZATA - Cass. civ. Sez. VI - 3 Ord., 06-10-2021, n. 27073

Nel caso in cui il giudice dell'esecuzione, in sede di attuazione di un sequestro conservativo presso terzi, dichiari attuato il sequestro nei limiti della ritenuta pignorabilità/sequestrabilità dei crediti dichiarati dal terzo, l'ordinanza da questi adottata, in via né sommaria né provvisoria, a definitiva chiusura della procedura di attuazione del provvedimento cautelare, e impugnabile esclusivamente con l'opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell'art. 617 c.p.c., anche in relazione alla corretta liquidazione delle spese dello stesso procedimento di attuazione; diversamente, se adottata in seguito a contestazioni del debitore prospettate mediante una formale opposizione all'esecuzione ai sensi dell'art. 615 c.p.c., in relazione alla quale il giudice abbia dichiarato di volersi pronunziare, il provvedimento sommario di provvisorio arresto del corso del procedimento di attuazione, che resta perciò pendente, e impugnabile con il reclamo ai sensi dell'art. 624 c.p.c. In entrambi i casi, se (e solo se) e stata proposta dal debitore una opposizione all'esecuzione ai sensi dell'art. 615 c.p.c., il giudice dell'esecuzione, con il provvedimento che sospende o chiude il procedimento di attuazione davanti a sé, deve contestualmente fissare (salvo che l'opponente stesso vi rinunzi) il termine per l'instaurazione della fase di merito del giudizio di opposizione, liquidando le spese della relativa fase sommaria e, in mancanza, sarà possibile per la parte interessata chiedere l'integrazione del provvedimento ai sensi dell'art. 289 c.p.c, ovvero procedere direttamente alla instaurazione del suddetto giudizio di merito, in tale sede proponendo anche tutte le contestazioni relative alla eventuale liquidazione delle spese relative alla fase sommaria del giudizio di opposizione. In nessun caso è, invece, proponibile appello avverso il provvedimento del giudice dell'esecuzione.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide - Presidente -

Dott. SCODITTI Enrico - Consigliere -

Dott. ROSSETTI Marco - Consigliere -

Dott. DELL’UTRI Marco - Consigliere -

Dott. TATANGELO Augusto - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 22595 del ruolo generale dell'anno 2019, proposto da:

G.N. (C.F.: (OMISSIS)) rappresentato e difeso dagli avvocati Pardini Valerio (C.F.: (OMISSIS)) e Servetti Laura (C.F.: (OMISSIS));

- ricorrente -

nei confronti di Z.R. (C.F.: (OMISSIS)) rappresentato e difeso dall'avvocato Cattani Paolo (C.F.: (OMISSIS));

- controricorrente -

per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Firenze n. 1429/2019, pubblicata in data 11 giugno 2019;

udita la relazione sulla causa svolta nella camera di consiglio in data 6 maggio 2021 dal consigliere Tatangelo Augusto.

Svolgimento del processo

G.N. ha posto in attuazione un provvedimento di sequestro conservativo, ottenuto nei confronti di Z.R., sui crediti vantati da quest'ultimo nei confronti della RN Caffè S.r.l., la quale ha reso dichiarazione di quantità in senso positivo. Lo Zucconi si è costituito nel procedimento di attuazione davanti al giudice dell'esecuzione, facendo presente che il suo credito era sequestrabile e pignorabile solo nei limiti del quinto, in quanto derivante da rapporto di agenzia. Il giudice dell'esecuzione ha dichiarato attuato il sequestro, nei limiti del quinto della somma dichiarata dovuta dal terzo (di Euro 34.160,00), liquidando e ponendo le spese processuali a carico del debitore nella misura di due terzi.

Avverso il provvedimento del giudice dell'esecuzione il creditore procedente ha proposto appello.

La Corte di Appello di Firenze ha dichiarato inammissibile l'impugnazione.

Ricorre il G., sulla base di un unico motivo.

Resiste con controricorso lo Zucconi.

E' stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375, 376 e 380-bis c.p.c., in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere dichiarato manifestamente infondato.

E' stata quindi fissata con decreto l'adunanza della Corte, e il decreto è stato notificato alle parti con l'indicazione della proposta.

Motivi della decisione

1. Con l'unico motivo del ricorso si denunzia "Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 323, 339, 616, 618 e 619 c.p.c. e art. 24 Cost. in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3".

Il ricorrente sostiene che il provvedimento del giudice dell'esecuzione avrebbe il contenuto sostanziale di una sentenza e sarebbe, come tale, impugnabile con l'appello, avendo deciso l'opposizione all'esecuzione del debitore relativa ai limiti di pignorabilità del credito oggetto del sequestro, con liquidazione delle relative spese processuali.

Il ricorso è manifestamente infondato, anche se la motivazione della decisione impugnata va parzialmente corretta ed integrata sulla base delle considerazioni che seguono.

In proposito, vanno infatti ribaditi i principi di diritto ormai costantemente affermati da questa Corte in relazione alle modalità della contestazione dei provvedimenti del giudice dell'esecuzione, certamente applicabili anche all'ipotesi dell'attuazione del sequestro conservativo, e che il ricorso non offre motivi idonei ad indurre a rimeditare (cfr., in particolare: Cass., Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 15605 del 22/06/2017, Rv. 644810 - 01; Ordinanza n. 13108 del 24/05/2017, Rv. 644389 - 01; Sez. 6 - 3, Ordinanze nn. 14332, 14333 e 14334 del 08/06/2017; Sez. 6 - 3, Ordinanze nn. 15282 e 15283 del 20/06/2017; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 15606 del 22/06/2017; conf., sul principio di diritto: Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 10946 del 08/05/2018, Rv. 648877 - 01; nel medesimo senso va tenuto presente l'orientamento ormai consolidato di questa Corte, enunciato in tema di esecuzione forzata per obblighi di fare o di non fare, ma i cui principi di fondo possono estendersi all'esecuzione per espropriazione - ed allo stesso procedimento di attuazione del sequestro conservativo su crediti, anche con riguardo alla pignorabilità/sequestrabilità di questi ultimi - per cui le ordinanze del giudice dell'esecuzione con contenuto decisorio in ordine alla portata sostanziale del titolo esecutivo ed all'ammissibilità dell'azione esecutiva non possono considerarsi, neppure quando provvedano sulle spese giudiziali, come sentenze decisive di un'opposizione all'esecuzione e, di conseguenza, non sono mai impugnabili con i rimedi all'uopo previsti; in tal senso, di recente: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 7402 del 23/03/2017, Rv. 643692 - 01; conf., in precedenza, Sez. 3, Sentenza n. 15015 del 21/07/2016, Rv. 642689 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 8640 del 03/05/2016, Rv. 642688 - 01).

E' opportuno richiamare in sintesi i predetti principi, anche con riguardo alla loro applicazione in caso di attuazione delle misure cautelari aventi ad oggetto somme di danaro ed alla pi-gnorabilità/sequestrabilità dei beni oggetto delle stesse.

E' stato già da tempo chiarito che il giudice dell'esecuzione ha il potere/dovere di verificare di ufficio, anche a prescindere da una opposizione del debitore, l'esistenza del titolo esecutivo e la corrispondenza degli importi pretesi dal creditore con quelli dovuti in base al titolo stesso (cfr. ad es. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 11021 del 19/05/2011, Rv. 617431 - 01; Sez. L, Sentenza n. 16610 del 28/07/2011, Rv. 618698 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 4491 del 26/03/2003, Rv. 561469 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 9293 del 09/07/2001, Rv. 548027 - 01; Sez. L, Sentenza n. 8559 del 23/06/2000, Rv. 537956 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 8215 del 10/09/1996, Rv. 499547 - 01). Altrettanto è a dirsi con riguardo ai limiti di pignorabilità dei crediti posti dall'art. 545 c.p.c. in relazione ai trattamenti retributivi e/o pensionistici, come attualmente è espressamente previsto dall'ultimo comma dell'art. 545 c.p.c. (e come, peraltro, doveva ritenersi anche in precedenza, in via interpretativa; in proposito si vedano, ad es.: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 5761 del 11/06/1999, Rv. 527297 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 6548 del 22/03/2011, Rv. 617581 - 01).

Il giudice dell'esecuzione ha dunque il potere/dovere di procedere all'assegnazione (ovvero, come nel caso di specie, di dichiarare attuato il sequestro conservativo) in favore del creditore, esclusivamente con riguardo agli importi che, sulla base degli atti, risultino allo stesso effettivamente dovuti e nei limiti della pignorabilità (o sequestrabilità) dei crediti oggetto dell'espropriazione (ovvero del sequestro conservativo).

E' pacifico che il relativo potere del giudice dell'esecuzione, certamente esercitabile al di fuori di ogni contestazione del debitore (anche quindi laddove il debitore non si sia neanche costituito), sia censurabile mediante l'opposizione agli atti esecutivi, ai sensi dell'art. 617 c.p.c..

Può peraltro accadere che esso venga esercitato in ipotesi in cui il debitore si sia costituito nel processo esecutivo e abbia sollevato contestazioni, o abbia addirittura proposto opposizione all'esecuzione ai sensi dell'art. 615 c.p.c. (e ciò sempre, peraltro, tenendo conto che il debitore ha anche la facoltà di costituirsi nel processo esecutivo senza proporre opposizione all'esecuzione, eventualmente limitandosi a sollecitare l'esercizio dei poteri di ufficio del giudice).

In mancanza di una vera e propria opposizione all'esecuzione, non vi è dubbio che il creditore potrà proporre esclusivamente l'opposizione ai sensi dell'art. 617 c.p.c. avverso il provvedimento del giudice dell'esecuzione.

Laddove invece sia stata proposta una vera e propria opposizione all'esecuzione ai sensi dell'art. 615 c.p.c., con la quale il debitore abbia contestato, in tutto o in parte, il diritto di procedere ad esecuzione forzata per il credito fatto valere ovvero la pignorabilità/sequestrabilità del credito oggetto di dichiarazione positiva del terzo, il giudice dell'esecuzione ha due possibilità.

Può prendere atto dell'opposizione e, senza esercitare i propri poteri officiosi, limitarsi a sospendere l'esecuzione (in tutto o in parte), ovvero l'attuazione della misura cautelare, nei limiti in cui ritenga probabilmente fondata l'opposizione del debitore, fissando il termine per l'inizio del giudizio di merito; in tal caso il suo provvedimento sarà reclamabile dal creditore opposto ai sensi dell'art. 624 c.p.c., per ottenere la revoca della sospensione e, in tal caso (secondo l'indirizzo seguito da questa Corte, a partire da Cass. Sez. 3, Sentenza n. 22033 del 24/10/2011, Rv. 620286 - 01, e poi sempre confermato), se manca la fissazione del termine per iniziare il giudizio di merito, le parti potranno chiedere l'integrazione ai sensi dell'art. 289 c.p.c. e/o comunque instaurare direttamente il merito dell'opposizione; in mancanza, il processo esecutivo si estinguerà (in tutto o in parte) ai sensi dell'art. 624 c.p.c., comma 3, e il provvedimento che dichiari tale successiva estinzione sarà reclamabile ai sensi dell'art. 630 c.p.c.. In caso di instaurazione del merito dell'opposizione di cui all'art. 615 c.p.c., e comunque fino all'eventuale estinzione ai sensi dell'art. 624 c.p.c., comma 3, il processo esecutivo o il procedimento di attuazione cautelare - pur sospeso - rimarrà pendente (resteranno in particolare fermi gli effetti del pignoramento o del sequestro: in caso di pignoramento/sequestro presso terzi, le somme pignorate resteranno vincolate). In tale ipotesi non vi è spazio per una opposizione ai sensi dell'art. 617 c.p.c. (e, tanto meno, per un eventuale appello).

Il giudice dell'esecuzione, però, non perde i suoi poteri officio-si solo perchè è stata proposta una opposizione all'esecuzione; egli potrà quindi anche decidere di esercitarli ugualmente, a prescindere dall'opposizione del debitore, assegnando al creditore esclusivamente gli importi effettivamente dovuti, eventualmente nei limiti della ritenuta pignorabilità del credito dichiarato dal terzo (ovvero, addirittura nessun importo, laddove ritenga il titolo inefficace o il credito posto in esecuzione integralmente estinto o, ancora, quello dichiarato dal terzo integralmente impignorabile), ovvero dichiarando attuato il sequestro nei medesimi limiti, in tali i casi definendo il processo esecutivo o la procedura di attuazione del sequestro.

Ovviamente, in siffatte ipotesi non vi sarà luogo a provvedere, per evidente difetto di interesse, sull'istanza di sospensione dell'esecuzione, e il giudice dell'esecuzione potrebbe - come sarebbe opportuno - dichiararlo espressamente (ma anche laddove non lo faccia, la situazione sostanziale rimane la medesima). Resta ferma peraltro l'opposizione già proposta e, quindi, dovrebbe comunque ugualmente essere assegnato il termine per l'instaurazione del merito di essa, a meno che il debitore non vi rinunzi, e andrebbero altresì liquidate le spese della fase sommaria dell'opposizione. In una siffatta ipotesi, non vi è un provvedimento di sospensione reclamabile; il creditore potrà dunque proporre esclusivamente l'opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell'art. 617 c.p.c. avverso il provvedimento del giudice dell'esecuzione che assegna gli importi ritenuti dovuti (e/o non assegna alcunchè e dichiara improcedibile l'esecuzione/attuazione). Entrambe le parti (se il debitore non ha rinunziato alla sua opposizione) potranno instaurare il merito di essa (previa eventuale istanza di integrazione ai sensi dell'art. 289 c.p.c.), anche al fine di ottenere la corretta liquidazione delle spese della fase sommaria. In tal caso il procedimento esecutivo (o di attuazione del sequestro) è da ritenersi definito e non più pendente. In mancanza di opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell'art. 617 c.p.c. avverso l'ordinanza del giudice dell'esecuzione che ha definito il procedimento, cessano gli effetti del pignoramento o del sequestro (in caso di pignoramento/sequestro presso terzi, le somme non assegnate o dichiarate assoggettate a sequestro sono definitivamente - e irreversibilmente - svincolate). L'esito stesso dell'opposizione all'esecuzione di cui all'art. 615 c.p.c. eventualmente coltivata dalle parti (in mancanza di opposizione ai sensi dell'art. 617 c.p.c. avverso il provvedimento di improcedibilità, o che ha comunque definito il procedimento, liberando i beni non assegnati o dichiarati assoggettati a sequestro) non consentirà di riaprirlo, e avrà effetti solo per future eventuali nuove procedure promosse sulla base del medesimo titolo (o nei nuovi giudizi di cognizione relativi al medesimo rapporto). Al fine di individuare i rimedi con cui le parti possono contestare i provvedimenti adottati dal giudice dell'esecuzione in tutti i casi esposti, dunque, ciò che è decisivo non è tanto la circostanza che il debitore abbia o meno proposto una opposizione all'esecuzione ai sensi dell'art. 615 c.p.c., ma la natura del provvedimento emesso dallo stesso giudice dell'esecuzione. Onde individuare il rimedio esperibile occorre cioè stabilire se il giudice dell'esecuzione ha semplicemente sospeso o se ha, al contrario, definito il procedimento pendente davanti a sè.

Si tratta evidentemente di due provvedimenti di natura incompatibile, che si escludono a vicenda: la sospensione comporta la perdurante pendenza del procedimento e quindi la conservazione degli effetti del suo atto iniziale (pignoramento o sequestro che sia); l'improcedibilità, o comunque la definizione del procedimento a seguito dell'assegnazione (o della dichiarazione di assoggettamento a sequestro) dei soli importi ritenuti dovuti e pignorabili/sequestrabili, invece, esclude tale perdurante pendenza, e soprattutto determina la cessazione degli effetti del vincolo, in tutto o in parte. Se il giudice dell'esecuzione definisce il procedimento, dichiarandone l'improcedibilità (o se, con definizione impropria, ne dichiara la cd. estinzione atipica, o comunque lo chiude di fatto a seguito dell'avvenuta assegnazione degli importi ritenuti pignorabili e dovuti al creditore o della dichiarazione di assoggettamento a sequestro degli stessi; e ciò soprattutto laddove, ad es. nel pignoramento/sequestro presso terzi, dichiari espressamente lo svincolo delle somme residue e, quindi, liberi il terzo dai suoi obblighi di custodia), questo provvedimento è sul piano logico del tutto incompatibile con un provvedimento implicito di sospensione. Al tempo stesso è evidente che un provvedimento di sospensione è logicamente incompatibile sia con la definizione del procedimento, sia con la dichiarazione di estinzione o di improcedibilità dello stesso, e a fortiori con la liberazione dei beni assoggettati a vincolo dal creditore ma non assegnati o non dichiarati oggetto di attuazione del sequestro.

Laddove il procedimento sia stato definito dal giudice dell'esecuzione, quindi, non potrà esservi alcuno spazio per ravvisare un provvedimento (neanche implicito) di sospensione reclamabile.

Il creditore potrà proporre esclusivamente l'opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell'art. 617 c.p.c. avverso il provvedimento del giudice dell'esecuzione che ha definito il procedimento (sia esso espresso come dichiarazione di improcedibilità, di estinzione cd. atipica o di definizione della procedura in senso solo parzialmente corrispondente all'azione esercitata), ma non certo il reclamo ai sensi dell'art. 624 c.p.c., che è riservato al provvedimento cautelare di sospensione emesso in un procedimento che resta pendente.

Ciò non toglie che, se era stata proposta una opposizione all'esecuzione ai sensi dell'art. 615 c.p.c. (e non vi era stata rinunzia ad essa), le parti possano coltivarla (secondo le modalità illustrate nella già citata Cass. n. 22033/2011, i cui principi restano validi anche in tale ipotesi). Il suo esito, però (almeno in mancanza di opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell'art. 617 c.p.c. avverso il provvedimento che ha definito la procedura), non potrà consentire la riapertura o la riassunzione del procedimento ormai definito (anche perchè i beni assoggettati a vincolo sono stati ormai irreversibilmente liberati), e avrà efficacia solo per ulteriori e futuri rapporti tra le parti (ad. es. un nuovo pignoramento/sequestro sulla base del medesimo titolo, o un nuovo giudizio di cognizione con riguardo al medesimo rapporto obbligatorio) Come è evidente, neanche in tali casi vi è alcuno spazio per l'impugnazione con l'appello dei provvedimenti del giudice dell'esecuzione che definiscono il procedimento, esecutivo o di attuazione cautelare che sia.

Nella specie, dunque, non ha rilievo stabilire se il debitore destinatario della misura cautelare del sequestro conservativo aveva proposto effettivamente una opposizione all'esecuzione ai sensi dell'art. 615 c.p.c. per contestare l'integrale sequestrabilità dei crediti dichiarati dal terzo, in quanto è assolutamente certo (per quanto riferito dalla stessa parte ricorrente) che il giudice dell'esecuzione non ha inteso sospendere il procedimento di attuazione del sequestro conservativo ai sensi dell'art. 624 c.p.c., in relazione ad una siffatta opposizione, ma, esercitando i suoi poteri di ufficio, ha definito tale procedimento, con la dichiarazione di attuazione del sequestro esclusivamente sulla quota ritenuta pignorabile/sequestrabile dei crediti dichiarati dal terzo, implicitamente disponendo per il residuo la liberazione di detti crediti dal vincolo del pignoramento.

Tale provvedimento non può in alcun modo essere qualificato come sentenza in senso sostanziale su una opposizione all'esecuzione, come sostenuto dal ricorrente, trattandosi, al contrario, di un provvedimento il cui contenuto è espressione dell'ordinario esercizio dei poteri officiosi del giudice dell'esecuzione nel procedimento di attuazione del sequestro conservativo.

Di conseguenza, il suddetto provvedimento- era contestabile dal creditore esclusivamente mediante l'opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell'art. 617 c.p.c.; in tale sede sarebbe stato per lui possibile contestare anche la correttezza del provvedimento del giudice dell'esecuzione relativo alla liquidazione delle spese della procedura esecutiva.

Può essere opportuno altresì precisare che il creditore stesso, laddove (come egli sostiene) il debitore avesse effettivamente proposto una opposizione all'esecuzione ai sensi dell'art. 615 c.p.c., avrebbe comunque potuto eventualmente instaurare il relativo giudizio di merito a cognizione piena, nonostante la mancata assegnazione del relativo termine (chiedendo al giudice l'integrazione del provvedimento con l'indicazione di detto termine ai sensi dell'art. 289 c.p.c., ovvero anche provvedendo direttamente alla notificazione dell'atto di citazione nei termini di legge), onde ottenere una sentenza idonea al giudicato sul punto e, in tale sede, avrebbe potuto contestare il provvedimento del giudice dell'esecuzione relativo alle spese processuali, se ed in quanto riferibile non alle spese del procedimento di attuazione del sequestro ma a quelle relative alla fase sommaria del giudizio di opposizione all'esecuzione.

Va radicalmente esclusa, invece, in ogni caso, la possibilità di proposizione dell'appello direttamente avverso l'ordinanza del giudice dell'esecuzione, tanto con riguardo alla dichiarazione di (limitata) attuazione del sequestro nei limiti della ritenuta pignorabilità del credito dichiarato dal terzo, quanto con riguardo alla liquidazione delle spese processuali (sia quelle relative al procedimento di attuazione, sia quelle relative alla fase sommaria di una eventuale opposizione all'esecuzione).

Vanno pertanto ribaditi e precisati, anche con riguardo alla procedura di attuazione del sequestro conservativo, i seguenti principi di diritto:

"Nel caso in cui il giudice dell'esecuzione, in sede di attuazione di un sequestro conservativo presso terzi, dichiari attuato il sequestro nei limiti della ritenuta pignorabilità/sequestrabilità dei crediti dichiarati dal terzo, l'ordinanza da questi adottata, in via nè sommaria nè provvisoria, a definitiva chiusura della procedura di attuazione del provvedimento cautelare, è impu-qnabile esclusivamente con l'opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell'art. 617 c.p.c., anche in relazione alla corretta liquidazione delle spese dello stesso procedimento di attuazione; diversamente, se adottata in seguito a contestazioni del debitore prospettate mediante una formale opposizione all'esecuzione ai sensi dell'art. 615 c.p.c., in relazione alla quale il giudice abbia dichiarato di volersi pronunziare, il provvedimento sommario di provvisorio arresto del corso del procedimento di attuazione, che resta perciò pendente, è impugnabile con il reclamo ai sensi dell'art. 624 c.p.c.. In entrambi i casi, se (e solo se) è stata proposta dal debitore una opposizione all'esecuzione ai sensi dell'art. 615 c.p.c., il giudice dell'esecuzione, con il provvedimento che sospende o chiude il procedimento di attuazione davanti a sè, deve contestualmente fissare (salvo che l'opponente stesso vi rinunzi) il termine per l'instaurazione della fase di merito del giudizio di opposizione, liquidando le spese della relativa fase sommaria e, in mancanza, sarà possibile per la parte interessata chiedere l'integrazione del provvedimento ai sensi dell'art. 289 c.p.c., ovvero procedere direttamente alla instaurazione del suddetto giudizio di merito, in tale sede proponendo anche tutte le contestazioni relative alla eventuale liquidazione delle spese relative alla fase sommaria del giudizio di opposizione. In nessun caso è, invece, proponibile appello avverso il provvedimento del giudice dell'esecuzione".

Deve dunque, in definitiva, ritenersi conforme a diritto la decisione impugnata, che ha dichiarato l'inammissibilità dell'appello del G., sia pure con le correzioni di motivazione sin qui esposte.

2. Il ricorso è rigettato.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo, con distrazione in favore del difensore del controricorrente, che ha reso la prescritta dichiarazione di anticipo ai sensi dell'art. 93 c.p.c..

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell'impugnazione) di cui all'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dall'art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228.

P.Q.M.

La Corte:

- rigetta il ricorso;

- condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 5.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali ed accessori di legge, con distrazione in favore dell'avvocato Cattani Paolo ai sensi dell'art. 93 c.p.c..

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell'impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012 n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2021


Avv. Francesco Botta

Rimani aggiornato, seguici su Facebook